Diario di scuola di Pennac

Ho letto molto rapidamente l’ultimo libro di Daniel Pennac che si intitola Diario di Scuola e vorrei dire qualcosa di questo suo lavoro, se non altro perché sono un insegnante e credo di averne i numeri.

Ci sono alcune pagine sicuramente illuminanti e degne di grande attenzione per chiunque si voglia accostare ai problemi della scuola o per chi, come il sottoscritto, in un ambito scolastico ci lavora e ci sbatte le corna ogni giorno.

Va detto che Pennac è un ex insegnante, ora scrive, beato lui, partecipa a trasmissioni televisive, tiene lezioni pubbliche e a scuola oggi ci ricapita solo ogni tanto, giusto per tenere qualche conferenza agli studenti, a parlare dei suoi ultimi prodotti letterari.
Dunque conosce la scuola di qualche decennio fa, per giunta la scuola francese, e quella attuale delle degradate periferie parigine, la conosce più dalle dure cronache dei giornali e della televisione piuttosto che dalla viva voce di chi quel mondo lo vive ogni giorno, a stretto contatto con la realtà sempre più misteriosa e sfuggente del mondo giovanile e adolescenziale.

L’elogio del somaro, questo il vero titolo sottointeso del libro, è il presupposto di Daniel Pennac che, tirando in causa la sua stessa esperienza personale di adolescente, si chiede per quali fortunate e misteriose circostanze egli sia riuscito a sollevarsi dalla palude della sua svogliatezza giovanile, arrivando a diventare ciò che è diventato, lasciando intendere che analoghi geni, matematici e scrittori in erba covino sotto la polvere delle nostre attuali scuole, in attesa che qualche lungimirante e paziente prof riesca a scovarli e a tirarli fuori dal loro sonno.

C’è insomma parecchio amarcord nelle sue parole, tanto ingenuo romanticismo, e la convinzione che, soprattutto con la semplice forza di volontà da parte degli insegnanti, i risultati positivi inevitabilmente si ottengano.
Se posso dire, ho annusato una certa vena critica nelle sue righe nei confronti di tutti i prof che oggi si lamentano e basta, che affermano che si vada da anni sempre nella stessa direzione e cioè sempre più in basso, che sostengono senza il beneficio del dubbio, che i giovani siano irrimediabilmente sempre meno attratti dalla cultura e dal sapere, poco propensi a trovare dentro di sé una soluzione genuina ed altrettanto efficace, che poi egli riassume in una parola semplice ma impronunciabile: l’amore.

Ho trovato per certi versi la realtà francese altrettanto inquietante di quella italiana, e anzi con l’aggravante aggiunta di manifestazioni di violenza davvero pesanti che, grazie a dio, dalle nostre parti si concretizzano ancora piuttosto di rado (almeno questa è la mia impressione).

A casa nostra la scuola viene vissuta dagli adolescenti più che altro come un’ulteriore parentesi ludica dove tutto è divertimento, gioco, cagnara e cazzeggio dilatato all’infinito; la prosecuzione senza limite di un’infanzia felice che non cessa di sparire per lasciare inevitabilmente il posto a un briciolo di maturità e coscienza. In Francia evidentemente ci sono delle componenti sociali, etniche, culturali e religiose devastanti che qui ancora non hanno fatto presa in misura così massiccia e preoccupante (insomma non c’è limite al peggio, verrebbe da dire).

La parte più ben riuscita del saggio, a mio avviso, è proprio quella nella quale Pennac cerca di sondare le ragioni degli sforzi sempre più eroici a cui la classe insegnante è sottoposta per fare bene il proprio lavoro. Egli chiama in causa la cultura del consumismo sfrenato, e la determinazione delle multinazionali (dell’elettronica, delle telecomunicazioni e dell’abbigliamento) in quest’opera di progressiva pauperizzazione e livellamento, per cui la lotta tra chi cerca di tirare i giovani dalla parte della ragione e del buon senso e chi invece li trascina nel torrente della mercificazione dei bisogni e della demenza generalizzata è sempre più impari. Nonna Marketing, così Pennac chiama il mostro responsabile di questo sfacelo, è sempre a bocca aperta davanti ai cancelli delle scuole, pronta a dare in pasto a chiunque facili piaceri e per giunta a buon mercato a fronte di obblighi, impegni onerosi, sforzi cerebrali meticolosi e apparentemente inutili lavori quotidiani richiesti invece dal mondo della scuola, ridotto ormai ad un ghetto insignificante e desueto.

E’ un libro che vale comunque la pena di essere letto, anche i genitori dovrebbero farlo e probabilmente anche qualche studente troppo distratto dai rumori di fondo della nostra contemporaneità, per capire come vivono gli insegnanti e come vivono gli adolescenti in questo mondo in continua trasformazione, in una scuola troppo chiusa in sé stessa e troppo spesso lasciata sola, alla deriva, oggi come ieri, dove le cose più ostiche e denigrate sono in realtà le più genuine e le più belle e privilegio di pochi fortunati, e dove le cose insignificanti e inutili sono invece appannaggio di tutti.

7 Risposte

  1. Proprio ieri ho preso in mano quel libro e l’ho rimesso subito giù pensando che non ne potevo proprio più di sentir parlare di scuola… e per di più da qualcuno che a scuola non c’è più. Di fronte alla scuola o si ironizza, o ci si lamenta, o si fa un discorso ideologico, o si da la colpa ai professori. Che noia.
    Mi viene voglia di cambiare lavoro. Fino a quando chiudo la porta della classe e guardo gli occhi dei miei studenti. E come me centomila altri docenti. Lo so di non essere unica 😉

  2. […] @ 5:00 pm Ho finito Diario di Scuola. Non è un libro straordinario, ma può essere utile. Uffa… prof ne offre una sintesi […]

  3. lo sto leggendo anche io cominciato l’altro ieri.

  4. Ciao, ho appena letto Diario di Scuola e ne sono rimasta incantata. Pennac è riuscito a fare un libro che, contrariamente a quanto di solito accade, NON critica: non critica la scuola, non critica le famiglie, non critica gli insegnanti, non critica i ragazzi.
    Non parla di ideologia, anzi, centra un punto pratico fondamentale: lo scoglio più grande per tutti (ragazzi, genitori, insegnanti) è la paura. Paura di non farcela, del futuro, del passato, di rimanere soli, di non capire…
    E con grande trasparenza il prof. Pennacchioni ci parla anche delle sue, di paure, che ancora oggi ogni tanto affiorano, non ostante tutto. Solo la consapevolezza gli permette di tenerle a bada e guardarle con distacco.
    Insomma, secondo me un gran bel libro, che va oltre la scuola in senso stretto e ci accompagna a guardare le cose di ogni giorno da qualche grdino più in su.

  5. uhm.. Pennac mi ispira diffidenza a pelle… troppo saccente e nazionalpopolare al tempo stesso.
    sulla scuola ho letto Starnone, Pacchiano e il bellissimo “Diario di classe” di Sandro Onofri.
    un mesetto fa ho comprato “Hei, prof!” di Frank McCourt – vediamo se tutto il mondo è classe – ma per leggerlo aspetto settembre…

  6. Ma non è che il professor Pennacchioni sta parlando del problema dei ragazzi dislessici?

  7. A me viene il voltastomaco proprio guardando lo sguardo vuoto, bestiale, idiota dei miei studenti, con quell'”ironia ebete stampata in faccia”, come diceva Pasolini, che aprono la bocca solo per chiedere di andare al cesso a fumare o per fare casino e esaurirmi (cosa che li diverte). Oggi la cultura non conta nulla per nessuno. Non si può fare nulla per cambiare le cose. La forza persuasiva della televisione (il mezzo è il messaggio) non può essere in alcun modo contrastata. E la televisione è il vuoto, il nulla, l’idiozia.

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