Quando la laurea non vale un fico

C’è una cosa che davvero si stenta a comprendere. Tutte le statistiche ci informano che abbiamo un numero di laureati enormemente più basso di tutti gli altri paesi civili. E persino di quelli un po’ meno civili del nostro.     E allora com’è che poi i pochi laureati che abbiamo, li mettiamo a lavorare in un call center a fare un lavoro che potrebbe fare anche un diplomato?     E con  uno stipendio da fame?     E più o meno con gli stessi turni che avevano i minatori inglesi all’epoca della rivoluzione industriale?        “Si sono presi una laurea sbagliata” dicono sempre gli stessi saccentoni. “Dovevano scegliere una facoltà scientifica”.     “Una facoltà scientifica, eh?”      E allora andiamo a vedere la fine che fanno i laureati italiani in matematica,  fisica, informatica, biologia e chimica.     I giovani (sempre di meno) che scelgono quelle facoltà spesso amano molto lo studio delle materie scientifiche. E ammirano coloro che hanno fatto la storia di quelle discipline. I personaggi che con il loro genio, la loro perseveranza, la loro generosità e la loro intelligenza creativa hanno saputo dare un contributo essenziale alla conoscenza ed al progresso scientifico.     Molti di questi personaggi sono italiani: Fermi, Marconi, Natta. Ci sono anche dei nomi molto recenti nell’elenco.     Gente che ha dato lustro al nostro paese. Molti istituti di ricerca in Italia sono intitolati a questi nomi illustri.     Loro però hanno lasciato per tempo il nostro bel paese. In quei centri che ora portano il loro nome e la loro effigie ci sono passati come delle meteore e poi sono fuggiti lontano. Il nostro paese li celebra oggi a cinquant’anni e più dalla loro morte, ma in vita non li ha cagati neanche di striscio. Non ha dato loro gli strumenti per poter dare il meglio di sé in casa loro, perché potessero far crescere il paese come loro avrebbero desiderato.     I giovani ricercatori italiani di oggi in quei centri di ricerca occupano posizioni infime. Spesso i loro uffici e laboratori sono ubicati in scantinati privi di finestre, sono pagati una miseria (borse di studio annuali che fanno ridere), costretti ad utilizzare strumenti obsoleti e fatiscenti.     Come si può pretendere che un giovane faccia una scelta di vita che lo porterà inevitabilmente alla fame e alla depressione?     Non lo si può pretendere. E infatti la maggior parte dei giovani fa una scelta diversa.

Cosa scelgono i nostri giovani per lo più quando si iscrivono all’università? Abituati a faticare poco o niente sin dai tempi del liceo, la scelta che fanno è dettata soprattutto dal livello di impegno richiesto.

     Più semplice è il piano di studi e più iscritti avrà quel corso di laurea.     Le facoltà universitarie oggi hanno bisogno di tanti iscritti, perché maggiore è il numero degli studenti, più docenti lavoreranno presso quelle facoltà e maggiori saranno anche le entrate finanziarie da parte dello stato. Tutto sembra dettato dai numeri. Il numero degli studenti determina il numero delle cattedre e dunque dei docenti stipendiati, come pure quello dei ricercatori o quello dei borsisti.     Quando si inaugura un nuovo corso di laurea di questo tipo in un ateneo, si organizza l’evento. E spesso a presenziare si chiama anche un personaggio famoso, un volto noto al mondo giovanile, come specchietto per le allodole: potrebbe essere Vasco Rossi, come Totti o Gattuso, o Valentino Rossi.  E magari con l’occasione gli si  conferisce anche la laurea honoris causa. Questo basta e avanza per attrarre i più ingenui e soprattutto gli indecisi, quelli che ancora non sanno cosa fare della loro vita.         Così un corso di laurea in scienza delle comunicazioni con duemila studenti riceverà più soldi di un laboratorio di chimica applicata con venti risicati studenti. E i docenti che insegnano in aule stracolme che sembrano anfiteatri avranno evidentemente anche un prestigio maggiore di quei professori che si trovano costretti a fare lezione dentro uno sgabuzzino a un paio di promettenti e volenterosi ragazzi.     Uno studente che frequenta un corso di laurea tipo scienze delle comunicazioni in quali materie si deve preparare?      Per carità, tutte cose interessanti: spettacolo, televisione, organizzazione di eventi, moda, marketing. Un calderone di materie anche molto diverse tra loro, messe insieme a formare un corso di laurea che istruisce ma non forma. E soprattutto non crea una professionalità.     Ma tutti credono che così vada bene.     I ragazzi sono contenti di collezionare decine di esami e centinaia di crediti senza studiare tanto e spassandosela per altri quattro o cinque anni tra party, serate studentesche, mega-feste in discoteca e birrerie.     I genitori pure, che in cambio di un notevole salasso (tasse universitarie, libri, camere in affitto, mense universitarie) vedono i loro figli finalmente impegnati in qualcosa che, almeno così sperano, gli consentirà un giorno di portarsi a casa uno straccio di laurea.     E infine i docenti che, fregandosi le mani, grazie a questo giochetto magico, si assicurano in tal modo una cattedra per il resto della loro vita professionale, una discreta notorietà e considerazione in ambito accademico  e infine una sterminata platea di gonzi ignoranti più o meno attenti alle loro lezioni.     Un giovane o un ragazzo che si accinge ad iscriversi all’università dovrebbe sapere che se qualcuno gli sta promettendo qualcosa in cambio di niente, (cioè per intenderci gli offre una laurea senza tanta fatica) vuol dire che lo stanno per fregare. Si ritroverà qualche anno dopo con un pugno di mosche in mano.  Molti corsi di laurea non sono fatti, come ingenuamente si potrebbe pensare, ad uso e beneficio degli studenti che li frequentano. Sono fatti in primo luogo a misura dei docenti che vi tengono le loro lezioni.     E anche molti master di specializzazione post laurea sono così.